RASSEGNA STAMPA

CORRIERE SERA - Racconto in divisa della notte d' inferno alla scuola Diaz

Milano, 25 gennaio 2009

SOCIETÀ/2 IL ROMANZO DI GIACOMO GENSINI
Racconto in divisa della notte d' inferno alla scuola Diaz

Genova 2001: una data che segna un confine anche nella narrativa che fin da subito ha raccontato, con la forma della fiction, quello che era successo in quel mese di luglio, in modo diretto (come Roberto Ferrucci in Cosa cambia, edito da Marsilio), o tenendo i fatti sullo sfondo come hanno fatto Massimo Carlotto, Andrea Camilleri, Sandrone Dazieri. Giacomo Gensini, trentottenne ex poliziotto, sceneggiatore, è il primo a farlo mettendosi dalla parte della polizia, calandosi nella mente di un celerino la cui quotidianità è divisa a metà proprio da quel confine. Il suo Genova sembrava d' oro e d' argento (Mondadori) è un libro difficile, duro, che si presta a strumentalizzazioni o a letture univoche: buoni contro cattivi, i poveri poliziotti servitori dello Stato sacrificati sull' altare dell' opinione pubblica che reclamava un capro espiatorio. Però fin dall' inizio si capisce che i confini non sono così netti. Il libro ripercorre, dal punto di vista di Dario - celerino nichilista che anestetizza un dolore personale (la morte della sorella) con l' ordine pubblico -, l' addestramento del Settimo nucleo, corpo speciale guidato da un capitano dal nome francese (qui è François, visto in una luce quasi eroica, nella realtà si chiamava Fournier ed è il «pentito» che parlò di «macelleria messicana»), creato per affrontare i black bloc, assistere (da lontano) all' omicidio di Carlo Giuliani e partecipare alla «perquisizione» della scuola Diaz, dove le uniche armi trovate sono le molotov messe lì dalla stessa polizia. Prima c' è la routine: l' ordine pubblico negli stadi dove la tattica prevista in linea teorica (la prima fila, cioè gli uomini con gli scudi, si apre, fa passare i manganellatori che escono, colpiscono e rientrano dietro gli scudi) non viene mai rispettata perché la voglia di colpire è più forte di qualunque addestramento. Ultras da «tritare», dopo che loro, i poliziotti, sono stati fermi ad aspettare, ad auspicare anche, gli sputi, gli oggetti lanciati, i cori di «celerino-pezzo-di-merda». E poi il ritorno, tutti insieme, il clan, la tribù, stretti nel Ducato dove ci si cimenta in esercizi di «pura dialettica senza l' onere della verità: chi scopa di più, chi picchia più duro», prima di passare al tressette. Un gruppo di persone unite, più che da passioni, da ossessioni comuni, piccoli superuomini che Gensini guarda con comprensione, vizi e debolezze compresi. Eppure leggere il libro come una loro difesa a oltranza risulta arduo perché l' autore racconta sì l' ipocrisia e il cinismo di chi li manda allo sbaraglio, l' ambiguità di decisioni prese in altri luoghi, ma racconta anche, con onesto realismo e con uno stile asciutto, freddo, efficace perché in contrasto con l' incandescenza delle situazioni, il bisogno di dare sfogo alla violenza, l' istinto a buttarsi a testa bassa nella mischia, il piacere dello scontro, la delusione quando arriva l' ordine di ripiegare invece che di caricare e non ci si accorge nemmeno che i manifestanti magari sono pacifisti con le mani alzate. Tutto ciò li rende simili, a tratti, a coloro che combattono. Poliziotti che hanno paura e fanno paura: Gensini lo sa, ovviamente, e corre il rischio di infastidire il lettore, di suscitare il rifiuto invece che la comprensione. La forza del libro è lì, in una verità che emerge anche a dispetto delle intenzioni.

Taglietti Cristina